ABlog

Competenze relazionali nelle organizzazioni: come avviene l'apprendimento

L’apprendimento più potente in una organizzazione, soprattutto quello delle competenze relazionali, non avviene nei corsi di formazione, ma negli innumerevoli scambi che avvengono lavorando, fra le pieghe dell’anima dei leader e dei loro collaboratori, nei team dove insieme a informazioni e risorse ci si scambiano, senza accorgersene, pezzi di vita ed emozioni mal tollerate che danneggiano o al contrario sviluppano la progettualità, senza essere riconosciute nella loro potenza energetica e capacità di portare a compimento o meno il compito che il gruppo si è dato. Di solito il riconoscere le ansie prodotte da emozioni relazionali viene percepito nei team come debolezza e fragilità individuale, il “mito luminoso della ingegnerizzazione” (Quaglino 2004) non permette di riconoscere appieno il valore disturbante dei più noti virus di quel software così raffinato che è l’individuo in un sistema organizzato.

I sistemi di protezione che potrebbero essere messi in atto non sono coerenti con la cultura delle organizzazioni oggi prevalente, è l’idea stessa di individuo che lavora ancora avvolta da un senso di impermeabilità emozionale e sopravvalutata razionalità, anche nel campo relazionale. Osserviamo quante aspettative, spesso disattese, pongono direttori e alto management nel lavoro di squadra, quante proiezioni di onnipotenza sviluppa l’idea del gruppo di super-tecnici, richiami ad una entità mitica che tutto affronta e risolve. Proclami di necessaria interdipendenza senza alcuna seria riflessione sull’implicazione profonda che il gruppo e il suo leader muovono agli strati profondi del sé, riattualizzando vissuti e stili di comunicazione legati a esperienze primarie, a emozioni e conflitti che ogni volta comprimono lo spazio della relazione gruppale, senza mai essere nominati o com-presi nelle fatiche del lavoro di squadra.

Ricordo lo stupore nei volti delle persone a cui suggerivo un de-briefing finale dopo il lavoro di un team particolarmente faticoso, quando raccomandavo di inserire nella metodologia di gruppo, come elemento protettivo/preventivo, un momento in cui affrontare l’andamento delle relazioni di gruppo dopo aver lavorato intensamente sul compito. Suona strano il consiglio di parlare di come siamo stati a una riunione in cui magari si è progettato una complessa azione strategica o si è analizzato il budget dei vari dipartimenti, ma a ben guardare è quello che tutti fanno, a gruppetti, a due davanti alla macchina del caffè, dislocando dal centro dell’attenzione pubblica una funzione ineludibile per il buon andamento dei gruppi, rimandando alla sfera del privato ciò che appartiene alla vita pubblica e reale del gruppo.

Evidenziare le emozioni e le relazioni e contestualizzarle alla vita organizzativa, è una azione strategica per trasformare stati di tensione collegate all’inevitabile competizione, è un sistema di protezione del gruppo paragonabile alle misure di sicurezza in campo ambientale. Lo si fa nel migliore dei casi come forma spontanea di socializzazione a supporto di gruppi di appartenenza e fedeltà, non se ne vede e non se ne intuisce la capacità di trasformazione che anche una piccola variazione del genere potrebbe introdurre nell’affannosa rincorsa all’eccellenza. Dedicare 10 minuti del lavoro a scambiare impressioni sui temi della convivenza, sulle modalità e gli eventi della relazione, dare spazio a chi ha avuto qualche particolare intuizione sulle dinamiche di quell’incontro, costruire una cultura basata sulla condivisione, in cui ci si pone di fronte ai meeting con la consapevolezza della complessità e della vastità profonda del condizionamento delle innumerevole relazioni precedenti nella storia degli uomini e delle donne che formano quel gruppo.

Spesso ci si chiede come mai le culture calviniste abbiano la capacità di interagire con un forte e determinato senso dell’organizzazione, uniti da un forte committment di gruppo più che da potenti attaccamenti all’individualismo. Forse molti non sanno che nella religione calvinista è tradizione la confessione dei propri peccati all’intera comunità, a cui segue un confronto trasparente sulle proprie motivazioni, alla ricerca di un fondamento comune di valori e comportamenti. La fedeltà e l’eccellenza delle organizzazioni si costruisce nel rinforzo e nella costruzione della comunità, nell’approfondimento della condivisione e nel riconoscimento dello spazio individuale nella costruzione dei valori, significati, credenze per implementare l’interiorizzazione dei sistemi di significati correlati all’appartenenza e alla cultura dell’organizzazione stessa.

Consideriamo anche che nelle organizzazioni, ma anche nella vita di tutti i giorni, è importante sapere quanto costa a livello di stress il far finta di nulla, il diniego e la negazione usati nel sopprimere un ricordo spiacevole hanno un costo neurologico, e non solo ciò che accade a noi ma anche assistere a eventi spiacevoli di altri ha un costo emotivo, una strapazzata non equa del capo ha un effetto negativo e un costo emotivo per tutti coloro che assistono. Ma pare poco razionale e inadeguato dare spazio a questi aspetti, la persona che lavora viene privata nel pensiero organizzativo della consapevolezza dell’enorme potenziale della sua sfera emotiva, e della potenza motivante di una vita relazionale praticata nella consapevolezza, riconosciuta, comunicata e come tale evoluta. Ancora Baumann (2009) ci dice nel suo ultimo lavoro “L’arte della vita” : “dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata e standard di eccellenza irritanti per il loro modo di stare bene al di là di ciò che abbiamo saputo fare o avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l’impossibile.”

--

Rossella Renzini

rossrenzini@gmail.com

Le competenze relazionali nelle organizzazioni: struttura profonda della relazione e dell’apprendimento

La progressiva valorizzazione della dimensione relazionale nelle organizzazioni si è affermata con lo sviluppo e la sempre maggiore diffusione nella psicologia delle organizzazioni di prospettive interpersonali, intersoggettive e di campo relazionale dove l’individuo non è mai ritenuto il solo autore di un evento relazionale ma è la coppia leader/follower, o il gruppo, che condividendo una spazio relazionale, co-costruisce una propria realtà di convivenza su cui agisce/interagisce negoziando in modo inconscio ogni volta i significati, le immagini e le possibili azioni. La realtà relazionale è uno spazio in continuo divenire, non sempre prevedibile, data le implicazioni anche a livello fisiologico di sistemi neuronali non gestiti dalla consapevolezza individuale. Per questo motivo non convincono mai fino in fondo certi corsi sulle competenze relazionali, dove si insegna a comportarsi nei modi giusti in determinate circostanze e dove si promuovono determinati comportamenti in altre situazioni, dove la conoscenza è ridotta a mera informazione e i comportamenti comunicativi immaginati come eventi semplificati. Se la vita relazionale fosse così prevedibile veramente una formazione potrebbe cambiarci la vita, ma non ci sarebbero più le infinite possibilità di sviluppo e le turbolenze nelle relazioni del lavoro e nella vita che tutti noi continuamente incontriamo.

La formazione in questi contesti presuppone una pratica della conoscenza che “richiede un approccio e una disposizione più simili a un orientamento mistery-driven, capace di lasciarsi andare all’ascolto e di sentire in situazione, piuttosto che problem-driven ” come dicono Scaratti e Ripamonti (2009) riferendosi alla gestione della conoscenza nelle organizzazioni. Dobbiamo partire quindi dal presupposto che promuovere le competenze relazionali negli individui, significhi sviluppare la possibilità di stare in relazione con l’altro, rispettando ciò che di autentico e consapevole percepiamo dentro di noi, riuscendo nello stesso tempo ad abitare il piccolo cosmo che l’altro in quel momento ci induce a immaginare e costruire con lui in un atto creativo, che costruisce immagini e significati generati da quella specifica relazione, riuscendo in questo campo intersoggettivo a tollerare l’incertezza della proposta di cambiamento di prospettiva che l’altro ci propone, poiché “la personalità umana, in presenza di appropriate condizioni relazionali, possiede la straordinaria capacità di negoziare simultaneamente stabilità e cambiamento” (Bromberg 2007).

Le competenze relazionali funzionali all’organizzazione e alla vita quotidiana, nell’epoca della società liquida, come Zygmunt Bauman chiama la nostra contemporaneità , debbono necessariamente fare i conti con la flessibilità, l’instabilità degli elementi organizzativi e gruppali, luoghi, modi e persone che cambiano continuamente assetto e prospettive, e il singolo individuo che non è attrezzato per mutare forme relazionali e negoziare il cambiamento continuo, può perdere quel raro elemento energetico che è l’anima stessa della leadership, o affogare nel mare dell’incertezza colma di ansie o della sua ancor più pericolosa antagonista, la rigidità, tipiche reazioni di fronte all’impossibilità di vivere la relazione con l’altro come uno spazio potenziale condiviso dove si possano costruire nuovi significati e nuove forme di vita organizzativa.

La fiducia in uno spazio potenziale condiviso nella comunicazione, a livello di strutture profonde della mente, e della sua relazione con l’apprendimento, aspetto essenziale per l’innovazione nelle imprese, è confortata dalle recenti ricerche delle neuroscienze sui neuroni specchio dei noti scienziati italiani Gallese e Rizzolatti. Gli studi sui neuroni specchio, sulla simulazione incarnata e l’apprendimento imitativo, indicano come l’uomo nasca fornito di un sistema biologico, fatto di particolari siti corticali, che si attivano con la stessa configurazione sia durante l’esecuzione che durante l’osservazione di azioni su oggetti o azioni comunicative, e anche durante l’esperienza o l’osservazione di emozioni o sensazioni. L’implicazione di questi studi sperimentali delle neuroscienze è di particolare importanza per la vita relazionale e per tutto ciò che riguarda i meccanismi di apprendimento dei modi di essere nella vita sociale, di sperimentare emozioni in particolari situazioni, anche nelle relazioni legate a funzioni di ruolo, per cui un reale cambiamento nei rapporti tra manager e collaboratori o nelle relazioni all’interno di un team, ha come presupposto la possibilità di avere o assistere a esperienze realmente diverse, sperimentare cioè on the job emozioni e relazioni mature ed evolute.

Le competenze relazionali sono quelle con il maggiore scarto tra conoscenze tacite ed esplicite nell’organizzazione, vivono il loro potere trasformativo nei diversi microcosmi aziendali, nelle stanze abitate da uomini e donne disposti a vivere in climi instabili, turbolenti ed esposti, ma disponibili al calore dell’elemento affettivo, dove ancora come un tempo la possibilità di sbagliare, l’errore (ancora orrore) è fonte di incursioni nel mistero e nel buio di una caverna che da millenni proietta ombre e luci sulla nostra capacità di conoscere.

--

Rossella Renzini

rossrenzini@gmail.com

Le competenze relazionali nelle organizzazioni: una definizione

Le competenze relazionali sono un insieme complesso di abilità, comportamenti, ed elementi motivazionali, modulate da esperienze passate, stili di personalità e condizionamenti dei sistemi gruppali del momento. Sono l’espressione e il cuore della vita emotiva e sociale, nascono dall’interazione tra individuo, ambiente e sistema gruppale e culturale nelle quali si sviluppano.

Da alcuni sono chiamate softskills per sottolinearne l’intangibilità, la componente cognitiva, e la capacità di interagire e modulare il comportamento degli individui proprio come un software.

Le competenze relazionali sono alla base della buona qualità della leadership e del teamworking, della buona riuscita dei rapporti di collaborazione e determinano sostanzialmente l’attivazione degli altrui sistemi motivazionali sia tra gruppi di pari sia nei rapporti fra linee gerarchiche diverse.

Comprendono la capacità di essere consapevoli e di sviluppare ed elaborare strategie efficaci, originali e autentiche nella vita di relazione e nella vita delle organizzazioni.

Possiamo dire che l’indicatore più chiaro in questo tipo di dinamiche tra il mondo interno e gli altri, la vita intersoggettiva cioè, è la capacità di autosservazione congiunta all’elaborazione degli stati emotivi interni, per il raggiungimento di un positivo e dinamico accordo o interazione con gli altri.

Un potente alleato per sviluppare relazioni e legami dinamici e creativi è la presenza di una zona di sé in cui sentirsi al sicuro e al riparo dalla frustrazione e dal giudizio degli altri; questo rapporto con una parte intima di sé non è sufficiente però a promuovere buone relazioni quando non è accompagnato da un naturale o intenzionale scambio empatico, attraversato da correnti emotive in cui l’Altro è presente in continua interdipendenza, con tutti i suoi bisogni e desideri visti, riconosciuti e correlati con i propri.

--

Rossella Renzini

rossrenzini@gmail.com

Metodi e strumenti che favoriscono l’apprendimento: Il Cerchio del Dialogo

Assunto che nelle organizzazioni prive di una cultura della comunicazione si producono incomprensioni reciproche, incoerenze strutturali, contrapposizioni confutative e conflitti, al fine di ottenere efficienza ed efficacia dall’attività di Focus Group risulta vincente declinare questa tecnica con il metodo specifico del Cerchio del Dialogo.

Anche detto Bohm Dialogue, dal loro ideatore, il fisico statunitense David Bohm, è un metodo - recentemente utilizzato anche dal professor Bill Isaacs del MIT all’interno del progetto MIT Dialogue Project -, atto a svolgere un’indagine, in quanto volto a far convergere i partecipanti su una posizione comune, sperimentando il punto di vista di tutti completamente, allo stesso modo e senza giudizio.

Il Dialogo Bohmiano consente alla comunicazione di riappropriarsi del suo carattere partecipativo portando gradualmente alla luce la pari fondatezza dei presupposti taciti da cui discendono le visioni divergenti dei singoli.

Attraverso il repertorio delle pratiche co-creative basate sul dialogo, l’organizzazione apprende ed è in grado di sviluppare una “intelligenza collettiva” sensibilmente più acuta e generativa rispetto alle possibilità dei singoli individui.

Ne risulta un processo fecondo di insight e di aperture reciproche, che si traduce nella co-creazione di nuovi significati (o valori) inclusivi e condivisi, intorno ai quali il gruppo costituisce a poco a poco la sua propria cultura interna.

Lo studio Querubin dimostra che non solo la pratica del dialogo bohmiano è genericamente funzionale al mondo del lavoro, ma che stimolando il pensiero sistemico può addirittura essere di aiuto nella ricerca consapevole delle linee di sviluppo più efficaci per l’impresa.

Il metodo del Cerchio del Dialogo è stato applicato nell'ambito del progetto Mind The Gap - vincitore del premio innovazione interno al CNR - ove AB Project ha curato nel 2017 il processo di mappatura delle competenze del personale Gestionale-Amministrativo del CNR.

Onboarding Program una strategia per il futuro

MBDA Italia ritiene determinante il processo di induzione

 

Consapevole che attrarre, trattenere e impegnare talenti è cruciale per creare vantaggio competitivo nelle aziende, nel 2016 MBDA Italia ha sviluppato l’Onboarding Program. Specifico programma di induzione che ha coinvolto 24 giovani newcomers nella formazione istituzionale al fine di fornire loro strumenti di comprensione ed integrazione con il contesto MBDA, per allinearli alla cultura del business e supportarli nella costruzione della community dei newcomers in un clima collaborative.

In quest’ottica, il percorso è stato strutturato, insieme ad AB Project, focalizzandosi su innovazione, impegno, integrità e spirito di squadra: valori aziendali che facilitano la condivisione di conoscenza e favoriscono la cross pollination. Ciò ha permesso di sviluppare un forte committment verso un obiettivo comune e promuovere metodi innovativi di collaborazione intergenerazionale tra Millennials e Baby Boomers.

A conclusione del percorso i partecipanti, divisi in gruppi, sono stati stimolati alla realizzazione di un Project Work. Ognuno di essi, nel poco tempo a disposizione, ha lavorato alacremente per presentare un prodotto che testimoniasse il proprio impegno e passione per la loro azienda.

I lavori sono stati presentati al direttore HR ed all'Amministratore Delegato Pasquale Di Bartolomeo.

Il Reciprocal Mentoring come ponte intergenerazionale

Ad oggi, a causa dello slittamento dell’età pensionabile, all’interno delle aziende si stanno creando circoli viziosi improduttivi che coinvolgono la popolazione senior.

“Troppo vecchi per lavorare, troppo giovani per la pensione”

Un patrimonio che rischia di essere perso con l’esclusione dal lavoro da parte dei senior con competenza ed esperienza, finendo anche per perdere il sapere di cui sono portatori.

Inoltre, i gap tra Boomers e Millenials possono impedire un chiaro ed efficace scambio di esperienze utili allo sviluppo di entrambe le generazioni coinvolte. Questi gap, se non governati, rischiano - a seguito delle differenti aspettative reciproche - di inibire una comunicazione efficace e di bloccare il processo di mutuo riconoscimento indispensabile per lo sviluppo di un terreno comune di apprendimento.

Per l’evoluzione e i continui cambiamenti del mondo del lavoro, l’azienda ha bisogno della freschezza tecnologica dei ventenni, ma anche dell’esperienza e conoscenza di chi lavora da anni.

Diventa così basilare, attuare in azienda, politiche mirate a favorire un proficuo scambio di competenze tra le generazioni di lavoratori attraverso una gestione sistematica e sinergica volta all’integrazione tra differenti professionalità, esperienze e competenze in modo da aumentare la produttività ed il benessere delle persone e dell’azienda.

Il Reciprocal Mentoring assume in questo modo un ruolo di facilitazione essenziale nella gestione della costruzione di questo nuovo frame di riferimento, dove la riduzione dei gap valoriali e di prospettiva tra le generazioni può liberare fondamentali risorse di creatività per affrontare le sfide con occhi nuovi.

Know how, Innovazione, Competitività

di AB Project

Oggi la competenza delle persone in Azienda ha valore?

Le organizzazioni vitali privilegiano tra le scelte strategiche il presidio e lo sviluppo della conoscenza e della competenza, patrimonio aziendale e fonte di innovazione.

Guardiamoci Intorno…

Riduzione degli investimenti, precariato, diminuzione del senso di appartenenza e peggioramento del clima interno, scarsa competitività’ e mancata creazione di valore per azienda e stakeholders.

Come può l’Azienda mantenere e sviluppare le competenze utilizzando le risorse attualmente disponibili?

Mobilitando le competenze di chi già lavora in azienda per la creazione di nuove conoscenze.

Formando figure di riferimento, ponte fra le Aree Operative e HR per la sistematica patrimonializzazione delle esperienze.

L'organizzazione di tali figure in Community, hanno dimostrato di catturare e trasferire il sapere tacito quindi acquisito esperenzialmente che è un capitale intangibile e distintivo di ogni azienda.

La Community è consulente di HR per:

-Rendere il modello delle competenze tecnico-professionali dinamico, continuo ed adeguato al business

-Mantenere e valorizzare il know-how tecnico

-Trasferire conoscenze e competenze core

AB Project forma ed implementa tali risorse con un team interdisciplinare di esperti in knowledge management, organizzazione, architettura della formazione,comunicazione e con un tutor esperto di social collaborative dynamics.

Saluto a Massimo Poleggi

di AB Project

Ciao Massimo.

Ci hai insegnato che organizzazione e sviluppo sono un binomio inscindibile, e che l’attenzione per la performance non prescinde dal rispetto per i valori dell’uomo.

Con te abbiamo condiviso il principio che le necessarie competenze tecniche vanno sempre accompagnate a passione e sensibilità.

Serietà e consapevolezza hanno caratterizzato il tuo viaggio, teso ad ampliare il conosciuto, con un piede nel reale e l'altro nel possibile. Questa la tua ricerca di innovazione. 

Ci mancherà nel nostro percorso futuro la tua esperienza, competenza e amicizia, ma faremo buon frutto di quanto ci hai lasciato.

Nel ricordati miglioreremo continuamente.

Mentoring and Induction Program MBDA Italia 2014

di AB Project

Quando Junior e Senior crescono insieme la conoscenza  si rinnova

L’induction program MBDA Italia 2013-14 è stato progettato da RU&O con la consulenza di AB Project per avere duplice valenza. Infatti mira sia ad agevolare l’ingresso in azienda dei neoassunti, sia a valorizzare i senior creando di fatti una nuova figura strategica per l’azienda, il Mentor.   

Il Mentor grazie alle proprie competenze personali e professionali  facilita e supporta i neo inseriti nel loro percorso, in un clima di collaborazione ed accrescimento reciproco utilizzando conoscenze ed esperienze per creare stimoli formativi che consolidino le competenze del personale neo inserito (Mentee).

“Il Mentor è la guida saggia, il consigliere fidato che accompagna il Mentee ad ampliare le sue conoscenze e ad integrarsi nella cultura aziendale”.

Il percorso diviene così anche un momento di self-empowerment per i Mentor stessi, focalizzato su stili manageriali e leadership collaborativa in coerenza con i piani di sviluppo personale.

La scelta del “collaborative learning”, approccio metodologico incentrato sulla valorizzazione della collaborazione all’interno di un gruppo,  è risultata efficace nel conseguimento da parte dei Mentor e dei Mentee dei prefissati obiettivi aziendali.

Nasce AB Project Young Onlus

di AB Project

L’Associazione AB Project Young Onlus è stata costituita al fine di svolgere tutte le attività che concernono il supporto all'educazione e all'occupazione giovanile attraverso lo sviluppo di progetti e azioni rivolte ai giovani. Perseguendo esclusivamente attività di finalità e solidarietà sociale AB Project Young Onlus intende progettare, realizzare e promuovere:  

  • laboratori educativi per lo sviluppo delle abilità e delle competenze personali e sociali utili a discernere ed anticipare il disagio giovanile quindi la dispersione scolastica;
  • progetti di istruzione e formazione per fronteggiare la disoccupazione giovanile;
  • progetti di sensibilizzazione per diffondere la cultura della giustizia sociale, della solidarietà, dello sviluppo sostenibile e della tutela e valorizzazione dei beni ambientali e culturali;
  • azioni di supporto a star-up che capitalizzino le competenze e le vocazioni territoriali per costruire prodotti/servizi a valenza universale;

L'associazione si prefigge altresì il compito di pubblicare testi, documenti e ricerche, sia su carta che su supporto digitale, per la divulgazione dei servizi dell’Associazione. Disponendo anche di un sito internet e di una community digitale.

AB Project Young Onlus intende implementare azioni utili a perseguire i propri fini con il supporto dei network delle associazioni di categoria del territorio e nazionali, in sinergia con qualunque Ente, organismo pubblico e privato, nazionale ed internazionale, Onlus o Organizzazioni non governative purché lo scopo sociale e le finalità non siano in contrasto col suo statuto.

 

 

Barbiana Oggi - Seminario di Studio - 7 Ottobre

di AB Project

NEWS: Il TnM al Convegno VEDERE OLTRE - AIDP Campania

Il progetto Training needs Manager verrà presentato al convegno AIDP Campania il 14/12/2012, a Napoli nell'ambito dell'evento "VEDERE OLTRE" II Tappa del Giro D'Italia AIDP.

 

 

NEWS: Il TnM ad Architetti dell'Apprendimento

di AB Project

La testimonianza di Angela Brunori sulla nascita e lo sviluppo del progetto TnM è stata inserita nell’ambito del 2° incontro chiamato “NOTE e ARMONIE: Le diverse metodologie per percorsi blended avanzati” che si è svolto il 19-20 giugno. E' stata occasione per confrontarsi su metodologie in presenza e innovazioni metodologiche e su come costruire architetture blended, anche attraverso una prospettiva internazionale.

www.architettidiapprendimento.luiss.it

NEWS: Il TnM alla Bocconi

di AB Project

IL TnM ALLA BOCCONI

Il progetto Training needs Manager Finmeccanica è stato presentato alla comunità accademica dell'Università Commerciale "Luigi Bocconi" con un seminario tenutosi il 7 Giugno 2012 nell'ambito del Master Universitario in Organizzazione e Personale tenuto dalla docente ricercatore Paola Bielli del Dipartimento di Management e Tecnologie.

L'incontro di studio, condotto dal Team di AB Project  - ha alternato interventi metodologici a testimonianze aziendali, con l'obiettivo di trasferire agli studenti del Master una visione completa/esaustiva del ruolo strategico e innovativo svolto dal Training needs Manager all'interno di realtà aziendali complesse come Finmeccanica.

Il Training needs Manager diventa case study in Bocconi: l'idea progettuale, nel corso degli anni, è divenuta un modello scientificamente fondato e replicabile in contesti diversificati.

L’inserimento del TnM determina, nel medio e lungo periodo, una riformulazione delle procedure di rilevazione ed elaborazione del fabbisogno formativo, fondate su un produttivo dialogo tra HR ed i TnM, referenti delle proprie unità operative.

Le competenze del Training needs Manager, acquisite attraverso un percorso blended intensivo ed una fase di implementazione assistita dallo staff di progetto, diventano patrimonio dell'azienda, ottimizzando l’investimento in formazione.

L'agenda della giornata alla Bocconi si è aperta con l’intervento di Angela Brunori sulla nascita e lo sviluppo del progetto, seguito dalla testimonianza di Anthony Spaggiari, Training needs Manager di Selex SI, sulle peculiarità del mestiere di TnM.

Elisabetta Vallarino, CNR, ha illustrato l'approccio metodologico adottato nelle varie fasi del percorso, con un focus sull'e-learning a supporto del training.

Grande interesse hanno suscitato i due interventi "in remoto": dall'Australia Marco Berti ha illustrato le sfide di un progetto globale ed il progressivo passaggio dal blended al pure e-learning nel momento dell'ingegnerizzazione del modello TnM a livello internazionale.

Dalla sede di Napoli di Ansaldo STS, il TnM Aniello Imperato ha ben rappresentato come il Training needs Manager si inserisca nella complessità organizzativa del modello di sviluppo integrato di Ansaldo STS. In conclusione, Ugo Sciortino, in qualità di e-tutor, ha raccontato le dinamiche dell’inserimento della figura in paesi e culture diverse.

Il seminario, benché denso di contenuti, è stato seguito con vivo interesse dai circa 40 studenti in aula, a cui è stato presentato un modello efficace, concreto e proattivo nel contribuire all'affermarsi di una "cultura" aziendale tesa al miglioramento continuo. La capacità del TnM di "leggere" il contesto e saperne interpretare i bisogni formativi permette di tenere il passo con le continue sfide di cambiamento imposte oggi dalla realtà economica e sociale.

ARTICOLO: Training Manager - Un ruolo chiave per l'innovazione

di Giuditta Alessandrini

ARTICOLO: Training Manager - Un ruolo chiave per l'innovazione

Finmeccanica Magazine - Febbraio 2010

Allegati:

NEWS: Online il nuovo sito di AB Project

ARTICOLO: Cenni di transustanziazione: come trasformare la formazione da frivola soubrette in compagna fedele

di Andrea Brunori

 

La formazione è utile. No, di più: la formazione è indispensabile.

La formazione aumenta il patrimonio intangibile.
La formazione è una garanzia di futuro. La formazione è un investimento per il futuro. La formazione difende la competitività.
La formazione è l’alfa e l’omega.
Questo è quello che si sente sempre dire. Ma che significa?
Scoprilo nell'articolo di Andrea Brunori pubblicato su Persone & Conoscenze, n. 72
Allegati: